Requiem di Antonio Tabucchi

Non un requiem per una persona cara che ci lascia, ma un saluto alle parti di noi che abbiamo cercato faticosamente, che si sono materializzate in qualche modo e che ci anno confessato: eravamo così, noi due; ma adesso tu sei un altro. Qualcuno di noi si è allontanato, lasciando una profonda nostalgia per il tempo trascorso insieme.

Deve essere stata l’afosa calura dell’estate di Lisbona, sì può essere. Il caldo deve averlo stordito parzialmente, lasciandolo in uno stato ipnagogico. MA certamente anche il grande bisogno di un IO che cerca il proprio Sé deve aver mosso i suoi passi, in mezzo a posti semideserti, lungo viuzze nelle quali sono rimaste ad abitare solo quelle figure che sanno indicarci il prossimo passo, il prossimo quartiere. Chissà quante di esse hanno potuto leggere Pessoa, magari no, ma sanno chi è, o chi è stato…

Perché le hai chiamate figure? Perché mi pare il termine più indicato; avrei dovuto chiamarle eteronimi? Avrei sbagliato! Questi sono solo lontani parenti. Figure, sì, perché fra l’altro, spesso sono dei fantasmi, memorie di persone che deambulano e che parlano, magari vissute in tempi diversi, come in delle esistenze parallele.

A me, comunque, stanno bene. Io ho scelto il Portogallo perché lì si suona il Fado e quella musica è il letto del mio stato d’animo. Una struggente malinconia che non libera impulsi rapsodici ma che si lascia scoprire in una lacrima nascosta e che si rinnova nella sua vitalità di fronte a uno dei gustosissimi piatti di pesce della cucina lusitana o che annega nel suo Porto.

E tutte quelle figure luccicano di qualche lacrima scivolata via nel passato, ciascuna riportandomi a una di quelle parti del mio Sé che ho voluto ri-trovare, pur se oramai hanno emigrato verso altri lidi.

Mi è bastato simulare un brevissimo colloquio, quello che bastava per dare loro il mio requiem.