La Montagna dell’Anima

La Montagna dell’Anima (2002)

Gao Xingjian

 

Cosa può andare a chiedere una giovane donna alla Montagna dell’Anima? Semplice: avere un figlio maschio.

E perché un uomo non può accompagnarla? Può farlo, ma a suo rischio, poiché potrebbe

fare adirare gli spiriti che la popolano.

Proprio così: apri le pagine del romanzo e ti trovi in vallate sconosciute, in fiumi mai navigati, nelle sconfinate risaie del sud della Cina o del Tibet. Mi ricorda la lettura di Cent’anni di solitudine e Macondo. Sì, tutti posti mai visitati, ma percorsi con le parole degli autori, palmo a palmo, a fatica perché si tratta di un lungo cammino, faticoso poiché hai da riconoscere valori sconosciuti, hai da addentrarti dentro un mondo popolato nel buio, che di giorno poco o nulla lascia intravedere.

Devi imparare lo sciamanesimo, il Taoismo, devi scoprire che la Natura è vissuta in maniera assai dissimile, che il dedalo delle possibilità dei tuoi percorsi emotivi varia molto in rapporto alla tua nascita e al tuo successivo viaggio.

E se ti hanno sterrato dal tuo suolo per importi un coatto trasloco in un’altra parte del mondo, pur con falsi documenti e con una stretta benda nel cuore è lì che torni, magari quando è chiaro che stai correndo verso la tua fine.

Ma chi ti vuol condurre per mano?

Tu? Tu che sai bene chi sono, cosa voglio, cosa ho azzeccato e cosa ho fallito, Tu che qui sei nato, imparato a camminare, a parlare, persino con gli spiriti?

Invece, chi vuole distrarmi dalla ricerca delle mie radici?

Io, Io che ho scoperto l’odore e il sapore di un altro mondo, Io che non ho mai mandato una poesia all’al di là, Io che non ho mai cantato inni alla Natura, Io che ho scoperto come gli altri parlino in maniera differente, IO che non hai mai visto le ombre nel buio, che non hai mai sentito le disperate urla umane sotto le placide acque.

Allora ti propongo: facciamo insieme questo viaggio, Io e Tu, insieme.

Incamminiamoci e allunghiamo il passo: la Montagna dell’Anima è lontana, quando vi saremo arrivati ambedue ci sentiremo ricchi, di sapere e di sentire.

Viaggeremo nel regno della prolessi e avremo qualche sbandamento nei ricordi, ma ce la faremo: condurremo il lettore alla scoperta di un mondo nuovo, inesplorabile senza le nostre parole.

Gianfranco Cammarata

Maggio 17