Il chapati

Il chapati

Il chapati
Affondano le lunghe dita sul masalah, strappando la carne del pollo e portandola in bocca, avvolta dal chapati.
Ti guardano orgogliosi e sono fieri della loro terra quando vedono che anche tu segui il loro gesto. E poi un largo sorriso dipinge il loro volto se tu dimostri di aver gradito.
Certo, hai avuto un attimo di dubbio: stai mangiando pakistano o calabrese?
E più forte ancora è l’altro dubbio: come si fa a evitare di bere il vino?
Il masalah è molto speziato e pepato, sino a bruciare la lingua.
Loro ti guardano straniti; pensano di non aver caricato troppo il sughetto, ben sapendo di stare insieme a dei collinari siciliani. Meno si sono preoccupati dei ragazzi somali; gli arabi lasciano il fuoco dentro al palato.
A quel punto tiriamo fuori le nostre armi.
Ecco, mangiate del pane fresco, condito con l’olio, cunsatu.
E, se volete, accompagnatelo con le olive verdi e con i tozzi del formaggio preparato da Luca.
Dai, vediamo un pò; che ne dite?
Noi ci abbeveriamo con del buon vino rosso, voi contentatevi del vostro tè.
A ciascuno il suo fuoco, sacro o infedele che sia.
D’altronde la visione di Rosso Malpelo ci ha conciati male, abbattuti e intristiti.
E ci ha accomunati il senso dell’abbandono, quello dei bambini lavoranti in miniera e quello dei giovani di altre lingue, lontani dalle loro terre.
Maledizione! Sarà stato il canto di Miriam Meghnagi.
Sì, certo, la colpa è di quel trepido lamento, quasi onirico.
E lì tutti insieme, con lo stesso stato d’animo
Siamo tutti un po’ malpelo, quando ci sentiamo abbandonati.
Allora diamoci un altro appuntamento: ciao, ragazzi. Portate ancora del chapati, il prossimo mercoledì.

Gianfranco Cammarata

Dicembre 2014