American Psycho di Bret Easton Ellis

Dopo poche pagine ti chiedi quale ambulanza ha trasportato sulla tua libreria questo tal Bret Easton Ellis, mentre all’interno del reparto psichiatrico dove lo ricoverano si discute sull’eccitazione sessuale sadica, un orgasmo che non può avvenire senza aver fatto male a qualcuno, una uccisione messa in serbo per un futuro rapporto carnale sostenuto da fantasie, odori e ricordi orridi, inenarrabili.

Nel mentre quello continua, pagina su pagina, con fantasie che davvero sembrano recuperate dagli archivi che raccolgono le gesta di orripilanti serial killer, o negli anfratti di una mente oramai trasferitasi su una dimensione parallela.

L’unico motivo che potrebbe tenere a freno la tua smania di buttare il libro dalla finestra, o nel mare che ha invaso la povera Venezia, sarebbe la capacità di Ellis di rapportarti sulle ultime novità degli atelier di tutto il mondo, con invio di file descrittivo anche del buon modo di accoppiare il papillon. Ma t’interessa davvero?

Allora egli prova a intrigarti indicandoti qualcuno dei punti più nascosti e poco conosciuti della sessualità femminile, persino di quella che è stata negli ultimi anni alimentata da  nostrani patri latin lover, quelli che contano decine di conquiste…a pagamento

Tra le righe del romanzo, nel frattempo, continuano a vorticare personaggi di grande eleganza, adoratori dei portafogli di noti milionari, dalla minuziosa conoscenza dei gourmet e dell’arredamento di tutti gli ultimi locali aperti nella città, sempre con l’occhio attento alle sinuosità delle migliori corpoduro che li affollano. Si tratta di un’orda di yuppies, fan di chi negli anni novanta costruiva un impero economico che oggi ne ha determinato l’ascesa alla Casa Bianca, tutti carichi di sintomi nevrotici, omofobi, machisti, assetati di superalcolici e dipendenti da droghe nobili, amanti delle Limousine e delle Lamborghini.

Dentro quella esagerata America nella quale, appena sotto i grattacieli, un minuto dopo che si spengono i riflettori di quel mondo dorato e insanguinato, ecco spuntare barboni affamati, donne che rubano avanzi di toast di segala dal cestino dei rifiuti, miserabili che non sanno nemmeno come si pronunci Pil, Pmi, dividendi, Opa.

Intanto vai avanti nella lettura e attendi notizie di un desiderato cambiamento della narrazione.  Finalmente arriva un investigatore e pensi che stia arrivando la buona novella, perché sei davvero stufo di fare indigestione di sangue putrido e fatto sgorgare come fontanelle, senza alcuna pur minima motivazione. Ma si tratta d una nube passeggera; immediatamente sparisce e va via, lasciando il palcoscenico libero a ulteriori nefandezze. E giù, fino in fondo.

Ma è proprio quando hai chiuso il libro, dopo fatiche omeriche, che arriva l’insight e ti domandi: perchè mai tal Bret Easton Ellis chiude così questo suo assai contrastato volume? Tale che fu persino reietto da un primo editore, che preferì perdere 300.000 mila dollari anziché pubblicare American Psycho. Perché questo scrittore, che assume i lineamenti del volto di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti, intende farsi promotore di una campagna a favore della violenza contro tutte e tutti?

E lo fa persino dandosi dell’ignorante in cultura musicale, scambiando You can’t always get what you want per una canzone dei Beatles! O facendomi saltare in aria per affermare che i veri Genesis sono quelli del dopo Selling England by the pound, anziché il contrario! Una affermazione per a quale meriterebbe una delle mutilazioni così ben descritte in questo suo folle romanzo…

No! Ci deve essere un trucco…

Ecco: ha barato!

Ellis ti ha mentito… Scrivendo in prima persona ti ha fatto pensare che egli aderisse al paranoico progetto del suo Patrick Bateman, facendosi detestare pagina dopo pagina, ma, in realtà, già nel 1991 egli ti ha descritto quello che oggi viviamo, servito a tavola da quegli yuppies degli anni ’80 dai nipoti di Reagan e della Thatcher, dagli ammiratori dell’attuale rosso e grasso Presidente degli State, che sotterrarono le grani ambizioni sessantottesche insieme a tutti i  Martin Luther King del globo per inseguire il paradiso edonista dei dollari, del sesso, delle droghe nobili, della moda milionaria, della frequenza dei locali e dei ristoranti più in.

Sì. L’ho capito solo alla fine, dopo aver rischiato di non finirlo: questo Bret Easton Ellis è un contestatore, non un idolatra, e più ti disgusta più di fa vomitare quel mondo fatuo, senza valori umani, ma con tanti candidati all’acquisizione della tessera di soci di quel club, così affollato oggi.

Un sola giustificazione: per comprenderlo sin dall’inizio dovevi chiamarti Tiresia…